2021

Grande afflusso di link e contatti sulla piattaforma multimediale del Museo della Pace - MAMT per il centenario dalla nascita di Mario Pomilio.
Il presidente Michele Capasso, in collegamento, ha raccolto varie testimonianze e ricordato l’amicizia tra lo scrittore e lo zio paterno Celestino Capasso.
Scrittore e saggista Mario Pomilio (scomparso nel 1990) scrisse    opere famose quali "La compromissione" (vincitore del Premio Campiello nel 1965), "Il quinto evangelio" e "Il Natale del 1833", in cui scandaglia il travaglio spirituale di Alessandro Manzoni (Premio Strega nel 1983).
"Alla riflessione religiosa si avvicinò nel corso della vita. Il suo cristianesimo era molto filtrato dall'Illuminismo e dalla ragione", ha raccontato di lui la figlia Annalisa in un'intervista a "Famiglia Cristiana" del 2015 che qui riproponiamo.
Un’immagine, nitida, vivissima, riaffiora dall’oceano dei ricordi. «È il 1983: siamo al mare a Baia Domizia, nella casa dei miei genitori», racconta Annalisa Pomilio. «Siamo seduti davanti a una piccola televisione in bianco e nero per seguire in diretta la cerimonia del Premio Strega». Quell’anno, infatti, la giuria incorona Mario Pomilio, suo padre, autore de Il Natale del 1833. Un romanzo di forte impatto, impegnativo al punto di vista tematico, una sfida dal punto di vista stilistico: seguendo la forma manzoniana del componimento misto di documen- ti reali e invenzione, ricostruzione storica e fiction, Pomilio scandaglia il travaglio umano e spirituale di Alessandro Manzoni a partire da Il Natale del 1833, frammento di poema interrotto scaturito dal dolore per la morte della sua prima moglie, Enrichetta Blondel. Il grido di rabbia dello scrittore verso Dio, lo sfogo di un uomo cristiano che, davanti alla sofferenza, non rinnega la sua fede ma si domanda perché Dio possa permettere il male nel mondo. Una riflessione particolarmente cara a Pomilio.
«Papà veniva da una famiglia particolare», ricorda Annalisa, «sua madre era una donna estremamente religiosa, suo padre era un socialista, ateo. Nella sua personalità papà assorbì entrambe le anime dei suoi genitori. In gioventù era lontano dalle tematiche cristiane. Alla fede e alla riflessione religiosa si è poi avvicinato nel corso degli anni e della vita. Sicuramente il suo cristianesimo era molto filtrato dall’illuminismo e dalla ragione, era una fede con una forte componente razionale, proprio come lo era la fede di Alessandro Manzoni. Papà sentiva profondamente suo il tema della sofferenza dell’uomo: è emblematico che abbia scritto Il Natale del 1833 quando già da alcuni anni combatteva contro una malattia molto dolorosa, l’artrite reumatoide, che gli procurò enormi sofferenze e a un certo punto non gli permise più di scrivere. Il Natale nacque in un periodo di remissione della malattia, in cui l’artrite gli aveva concesso un po’ di pace».

Originario di Orsogna, in provincia di Chieti, scrittore, letterato, studioso, insegnante di Lettere prima nei licei, poi al Conservatorio di Napoli e all’Università, nel 1949 Pomilio si trasferì a Napoli, dove trascorse il resto della sua vita e dove morì nel 1990, all’età di 69 anni. Dal matrimonio con Dora Caiola, anche lei abruzzese, nel 1956 nacque Annalisa, due anni dopo Tommaso, che oggi vive a Roma. Nel 1979, all’età di 23 anni, fresca di laurea in Lettere, Annalisa se ne andò da Napoli alla volta di TorinoL’idea era di restare per un breve periodo, accumulare punteggio come insegnante con le supplenze nelle scuole e tornare a casa. «Non me ne sono più andata». A Napoli però tornava tutte le estati, per lunghi periodi, con tutta la famiglia.
«Mio padre era uno spirito aperto e liberale per i suoi tempi. Ricordo una sua frase: “Per le donne non c’è libertà se non si passa per l’indipendenza economica”. Infatti aveva molto insistito perché mia madre, che veniva da una famiglia molto tradizionale, lavorasse come insegnante». Del Pomilio scrittore, Annalisa ricorda il modo di lavorare particolarissimo: «Di giorno insegnava, il pomeriggio riposava un po’, poi usciva e faceva delle lunghe camminate attraverso il Vomero, dove abitavamo. Portava con sé dei taccuini, ogni tanto li tirava fuori per annotare frasi, pensieri, riflessioni. Era inutile andare con lui, sarebbe stato come passeggiare da soli. Nel tardo pomeriggio si metteva a lavorare alla scrivania e andava avanti a scrivere fino a notte fonda».
Scriveva tutto a mano, Pomilio, non volle mai convertirsi al computer. «Il suo era un lavoro artigianale, certosino: faceva una prima stesura a mano, ripassava tutto a macchina, poi correggeva le bozze e le ribatteva di nuovo. Ha prodotto una serie di faldoni enormi che oggi si trovano all’Università di Pavia, nel Centro Manoscritti, dove un pool di bravi ricercatori sta studiando questa mole di carte e documenti». Delle sue produzioni letterarie, lo scrittore non parlava con la famiglia. «Sul suo lavoro era molto riservato in casa. Si confidava molto con Michele Prisco, scrittore napoletano e suo amico fraterno. In famiglia, però, tendeva a indirizzare molto le nostre letture. Ad esempio, era un fiero opposi- tore dei fumetti, perché sosteneva che disabituano alla lettura. In compenso, all’età di 12 anni mi fece leggere Madame Bovary di Flaubert, dicendomi che così non sarei caduta vittima degli stupidi romanzetti rosa».
Oggi, di suo padre, ad Annalisa manca soprattutto il sorriso. «Attraverso le sue opere, tutte molto diverse l’una dall’altra, ma tutte molto impegnative per le tematiche affrontate, appare come un autore severo. Invece era un uomo molto sorridente, che sapeva donare tanta attenzione. Mia madre era il carabiniere di casa, una donna severa, forte. Papà era molto dolce. Negli anni ribelli e contestatari della nostra adolescenza, ha avuto la funzione del mediatore, che cercava di sistemare le cose e mettere pace».
E poi il ricordo delle passeggiate con lui la domenica mattina: «Prendeva Tommaso e me e ci portava al parco. Rammento le lunghe camminate al parco di Capodimonte, i giochi su quello che io e mio fratello chiamavamo “ilpratonostro”. Ricordo i cineforum ai quali ci portava». E gli eventi vissuti, compresi attraverso gli occhi paterni. Il Sessantotto, ad esempio: «Lui guardava interessato le immagini al telegiornale delle contestazioni studentesche. Io ero una bambina, non avevo gli strumenti per capire, ma percepivo il suo interesse, la sua partecipazione emotiva, coglievo l’importanza di ciò che stava accadendo. Ecco, tante cose del mondo io le ho conosciute così: attraverso lo sguardo di papà».