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La Fondazione Mediterraneo ha partecipato alle celebrazioni di Roma e di Capua con vari membri impegnati in azioni di solidarietà ed aiuto ai migranti.
“E’ emozionante partecipare a questa Eucarestia tra le bandiere di 49 Paesi; nel mondo sono circa un miliardo le persone in movimento - ha affermato il presidente Michele Capasso - quasi un essere umano su sette; in Italia i migranti arrivati attraverso la rotta mediterranea nel 2017 sono stati 119 mila, il 34% in meno rispetto allo scorso anno. Si stima che i morti o dispersi nella rotta del Mediterraneo centrale dal Nord Africa verso l'Italia siano stati 3.116. Da inizio anno sono oltre 400 i bambini morti in mare,
tentavano la traversata da soli o con parenti, mentre in migliaia sono stati vittime di abuso, sfruttamento e schiavitù nel loro viaggio attraverso la Libia.
Solo nel 2017 - conclude Capasso - circa 15mila bambini non accompagnati hanno raggiunto l`Italia via mare ed i loro viaggi sono stati generalmente gestiti da responsabili di traffico e tratta”.
Prima di partecipare alla S. Messa il presidente Capasso ha sottolineato le emozioni ed il coinvolgimento di oltre 5.000 visitatori al percorso emozionale del Museo della Pace di Napoli dedicato a “VOCI DEI MIGRANTI”.
Celebrando la messa in San Pietro domenica 14 gennaio 2018 Papa Francesco ha detto parole di comprensione per le paure della gente di fronte al fenomeno migratorio: «Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che questi condizionino le nostre scelte e alimentino l’odio»

In effetti proprio nell’omelia odierna il Papa ha detto parole cristiane dense di realismo, per nulla coincidenti con certi cliché. Ha spiegato, commentando il Vangelo, dell’incontro di Cristo con i primi seguaci, che i due discepoli Andrea e Giovanni «chiedono a Gesù: “Dove dimori?”, lasciando intendere che dalla risposta a questa domanda dipende il loro giudizio sul maestro di Nazaret. La risposta di Gesù: “Venite e vedrete!” apre a un incontro personale, che contempla un tempo adeguato per accogliere, conoscere e riconoscere l’altro. L’accoglienza verso chi è povero e forestiero non è un’invenzione della teologia della liberazione di stampo marxista, ma è quanto lo stesso Gesù indica come “protocollo” per entrare nel Regno dei Cieli. Come pure è un dato evangelico il fatto che Dio è nato nella precarietà di una stalla perché la sua famiglia era in viaggio, e che nei primi anni di vita il piccolo nato a Betlemme è stato rifugiato in Egitto per sfuggire alle scimitarre degli sgherri di Erode.
Ma Francesco ha detto anche altro. Innanzitutto ha ricordato che «nel mondo di oggi, per i nuovi arrivati, accogliere, conoscere e riconoscere significa conoscere e rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti». Una sottolineatura significativa. E ha aggiunto che «significa pure comprendere», da parte di chi arriva, le «paure e apprensioni per il futuro» di chi accoglie. Mentre «per le comunità locali, accogliere, conoscere e riconoscere significa aprirsi alla ricchezza della diversità senza preconcetti, comprendere le potenzialità e le speranze dei nuovi arrivati, così come la loro vulnerabilità e i loro timori».
Il Papa ha poi continuato senza dividere il mondo in buoni e cattivi, senza disegnare caricature, ma mostrando di comprendere bene la delicatezza dei problemi che l’attuale fenomeno migratorio e le sue conseguenze comportano. «Non è facile – ha detto - entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze. E così spesso rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci. Le comunità locali, a volte – ha osservato Francesco - hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito, “rubino” qualcosa di quanto si è faticosamente costruito». Il Papa ha quindi notato che «anche i nuovi arrivati hanno delle paure: temono il confronto, il giudizio, la discriminazione, il fallimento».
Tutte queste paure, ha concluso Bergoglio, «sono legittime, fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Avere dubbi e timori non è un peccato». Il peccato è, ha aggiunto, «lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, con il diverso, con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata di incontro con il Signore».